| Dall'impagabile sito dell'amico Max, una bella pagina di storia.
LA STRADA PER LA CLUBHOUSE
“Un arbitro non espelle un giocatore o un manager, essi si espellono da soli. Essi sanno esattamente cosa possono dire e a chi lo possono dire. Quindi quando qualcuno viene buttato fuori, o ha completamente perso il controllo o intendeva essere cacciato”. - Eric Gregg, arbitro.
Esistono mille modi per guadagnarsi una doccia anticipata, ma in genere si tratta sempre di contestazioni troppo animate su una chiamata controversa, o scelte improprie di vocaboli nei confronti degli uomini in blu. Nella storia della Major League Baseball ci sono però innumerevoli espulsioni caratterizzate da almeno un tocco di originalità.
C’è chi ha ricevuto il “pollice” per essersi finto morto, chi perché uscito dal dugout con un ombrello, chi è stato espulso due volte in un incontro, chi prima che la partita iniziasse, chi per averlo espressamente richiesto; è successo di vedere giocatori cacciati dopo essere stati chiamati salvi, o dopo aver ricevuto una base intenzionale e persino mentre stavano pregando.
Il manager Earl Weaver, ottimo timoniere degli Orioles negli anni ’70, dedica un capitolo del suo “Weaver on Strategy” agli arbitri.
Inizia così: “Sono stato espulso da incontri a Fitzgerald, Georgia e Boston, Massachussets. Sono stato cacciato da una partita di esibizione a Fort Myers, Florida, da una gara di Instructional League a Scottsdale, Arizona e da un incontro di World Series a New York. Sono persino stato cacciato una volta quando gli Orioles giocarono un match di esibizione in Giappone”.
Seguono tabelle con espulsioni suddivise per stagione (in tutta la carriera saranno 99!) e per arbitro.
Il suo nemico peggiore, che lo ha fatto accomodare fuori per ben 7 volte, è stato Ron Luciano: “Il fatto che io sia arrivato nelle Majors così presto dopo di lui fu qualcosa come il cane che si mangia la tua torta di compleanno prima che tu abbia spento le candeline”.
In una delle sue 4 uscite del ’72, Weaver si avvicinò all’arbitro per contestare una chiamata riguardante una regola raramente utilizzata. “Conosco le regole bene quanto voi. Ho un libro nella clubhouse per provarlo”, sbottò alludendo evidentemente al regolamento. “Ho il libro qui con me ora. Te lo mostro” replicò l’arbitro; il commento finale, che costò a Weaver il resto della partita, fu: “Non va bene, perché io non so leggere il Braille!”.
Se la messa in dubbio della vista arbitrale non vi pare una causa di espulsione degna di menzione, vi interesserà sapere di come Frank Frisch e Danny McFayden siano usciti per avere fatto questioni sull’udito dei direttori di gara.
Il primo, manager dei Cardinals, uscì dal dugout per disputare una decisione ed esordì con “Tu, brutto testone…”. “Come mi hai chiamato?”, domandò l’arbitro evidentemente alterato; le ultime parole di Frisch, per quell’incontro furono: “Allora non solo sei cieco, sei anche sordo!”.
McFayden, invece, lanciando per i Pirates nel 1940, riuscì nell’impresa di farsi mandare fuori per due volte nello stesso incontro,ad opera di “The Old Arbitrator”, al secolo Bill Klem.
Andò così. Sul conto pieno Klem dichiarò ball un lancio che, secondo McFayden, aveva dipinto il filo esterno; il pitcher, adirato, si levò gli occhiali e li porse all’altro, gridando a squarciagola: “Ecco, prendili! Ti servono più che a me!”; e qui Klem sanzionò l’espulsione una prima volta.
A cercare di salvare la situazione, uscì dal dugout il manager di Pittsburgh, che altri non era se non Frank Frisch.
“Bill, ti prego dammi una mano. Sono in una situazione difficile, non ho lanciatori; Danny stava scherzando, lascialo in partita, era solo eccitato. Non puoi mandarlo fuori solo perché si è tolto gli occhiali. Guarda, li sta pulendo. E’ per quello che se li è tolti. Per favore Bill, abbi cuore!”.
“Non è la gag degli occhiali; me la faceva John McGraw 30 anni fa […] è come si è comportato nei miei confronti. Ha urlato così forte che chiunque sugli spartilo ha sentito. […] Avrebbe potuto causare una rivolta tra il pubblico”.
McFayden, da lontano, rese vano il tentativo del suo manager di salvarlo, e si riguadagnò l’espulsione proferendo: “Non ho urlato per incitare la folla. L’unica ragione per cui ho parlato così forte è perché temevo che le tue orecchie fossero messe male quanto i tuoi occhi!”.
Già che abbiamo chiamato in causa la coppia Frisch-Klem, ci sono altri simpatici duelli da ricordare.
Klem era solito tracciare una linea col piede durante i conciliaboli, avvertendo chi protestava a “non attraversare il Rio Grande”, pena ovviamente l’espulsione ; Frisch che conosceva la scena, durante una contestazione, gira 90° attorno all’arbitro, che provvede a tracciare un nuovo confine; così per tre volte, finchè Klem si trova all’interno del quadrato da lui stesso disegnato.
“Guarda cosa hai fatto; Hey, uomo saggio, come farai a uscire di lì?”.
“Non lo scoprirai mai, perché tu te ne vai fuori di qui!”.
Un’altra volta, nel bel mezzo di un’accesa discussione, Frisch si accascia al suolo privo di sensi e subito accorrono i giocatori e si cerca di reperire un medico; ma Klem, osservato bene il “malato”, dichiara: “Frisch, vivo o morto, sei espulso!”.
Frank Frisch fu cacciato anche da Jocko Conlan al quale cercò di far capire che l’incontro doveva essere sospeso uscendo dal dugout con un ombrello.
Klem, dal canto suo, a un battitore che per rabbia scagliò la mazza in aria, comunicò: “Giovanotto, se quella mazza torna giù sei espulso!”.
Questo giocatore, di cui la storia non ci ha tramandato l’identità, non riuscì a sfuggire alle leggi della fisica, venendo condannato, in particolare, dalla forza di gravità.
Ray Murray, invece si accomodò nelle docce, per aver invocato una forza superiore. Tra il catcher degli Orioles (correva il ’54) e l’arbitro Ed Hurley non correva da tempo buon sangue; all’ennesima chiamata non condivisa, Murray, tolte maschera e pettorina, si inginocchiò sul piatto e, con le braccia aperte e rivolte al cielo (era un cristiano-evangelista praticante), invocò l’intervento divino: “O Signore, aiuta questo povero F.d.P. Io ho due occhi buoni. Dai a lui uno dei miei!”. Il manager Jimmy Dikes, accorso nel vano tentativo di salvare la situazione, all’ordine dell’arbitro di togliere dal campo il giocatore, si levò il cappello sussurrando: “No signore, non finchè l’uomo sta pregando!”.
Se un uomo di fede può essere espulso, non può salvarsi un gentlemen come Tony Gwynn, specie se è lui stesso a chiedere la cacciata. Avvenne il 17 aprile 1988: l’esterno di San Diego non gradì uno strike chiamato ai suoi danni e, al termine delle proteste, sentenziò: “Non è uno strike e, se la cosa non ti piace, puoi buttarmi fuori dalla partita!”. L’arbitro Joe West, che in seguito dichiarò di non aver mai ricevuto una simile richiesta da un giocatore, invitò Gwynn a lasciare il campo.
Anche Mark Belanger è sempre stato considerato un giocatore di buone maniere, così i giornalisti vollero sapere i sentimenti di Ron Luciano, l’arbitro che ne decretò l’unica espulsione in carriera: “E’ stato come cacciare Bambi dalla foresta!”.
Se Gwynn ha richiesto la propria espulsione, trent’anni prima Granny Hamner fu mandato negli spogliatoi in seguito ad una discussione insorta dopo che il giocatore era stato dichiarato salvo.
In un arrivo stretto in prima, Joe Torre fu costretto a staccare il piede dalla base e tentare l’out per toccata; Hamner, passando sul cuscino, gridò: “No! No!, intendendo che questa non era avvenuta.
L’arbitro di prima, Ken Burkhart, concordò con il corridore ma, alludendo a precedenti diverbi con i suoi colleghi da parte dell’interbase dei Phillies, aggiunse: “Ci penso io a fare l’arbitro. Infatti tu hai arbitrato fin troppo!”. La discussione si accese gradualmente finchè Burkhart avvertì: “Un’altra parola e sei fuori!”; Hamner, sarcasticamente, rispose: “Un’altra parola”, e abbandonò il campo.
Anche Francona (il manager che ha cancellato The Curse) fu cacciato da un incontro su una discussione insorta per screzi precedenti: la sua espulsione, per mano di Ken Kaiser avvenne mentre Terry riceveva una base intenzionale. Il manager di Milwaukee Andy Etchebarren, udite le parole del suo giocatore, corse in campo per cercare di calmarlo. “Attento, attento. Non vorrai essere mandato fuori!”. “Ma mi ha già mandato fuori!”. “Oh, beh, in tal caso vai avanti e finisci quello che gli stavi urlando!”.
In un resoconto di sfide con gli arbitri non potrebbe mancare Casey Stengel, che da giocatore doveva essere scortato fuori dal campo dalla polizia e da manager andava a visitare i lanciatori munito di torcia elettrica al fine di sollecitare una sospensione per oscurità.
Nel 1940, quando guidava i Boston Braves, si trovò di fronte Klem che, stanco delle prolungate lamentele del loquace manager, estrasse di tasca un orologio, avvisando che aveva trenta secondi di tempo per tornarsene nel dugout. Stengel non tornò nel dugout quel giorno, perché non poté trattenersi dal dire: “Hey Bill, sei pazzo a mostrare quell’orologio davanti a questa folla. Il suo proprietario potrebbe riconoscerlo!”.
Anche Yogi Berra ha trovato modo di uscire anticipatamente da un incontro, senza perdere occasione di proferire una delle sue ingarbugliatissime massime.
Al Crosley Field di Cincinnati la recinzione consisteva di cemento alla base e di legno sopra la linea gialla di fuoricampo. Una battuta di Swoboda aveva colpito la parte in legno per un apparente grand slam, ma gli arbitri decretarono la palla in gioco. Yogi, coach dei Mets, su tutte le furie sbottò con la seguente perla: “Chiunque non sia in grado di distinguere il suono di una palla che rimbalza sul cemento o sul legno è cieco!”.
Avviso a chi di voi gioca (a baseball, ma anche ad altri sport): se proprio dovete farvi buttare fuori, cercate di essere originali!.
Edited by roberto sieni - 4/1/2006, 12:16
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