E C L A T A N T E

« Older   Newer »
  Share  
Giorgio Pavarani
view post Posted on 17/12/2008, 11:54




Giusto per proseguire lo "slalom parallelo" tra rugby e baseball nostrani:
http://www.sportmediaset.it/altrisport/art...colo18985.shtml

CITAZIONE
Quattro club italiani potrebbero partecipare dal 2010 alla Celtic League

 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 18/12/2008, 10:57




Evidentemente va di moda nello sport italiano.
Anche in quello professionistico:
http://www.federtennis.it/DettaglioNews.asp?IDNews=40040
CITAZIONE
18/12/2008
INTERNAZIONALI BNL D'ITALIA
Partita la campagna volontari 2009
Anche quest'anno tutti gli appassionati di tennis che desiderassero offrire il proprio contributo alla realizzazione dei Campionati Internazionali BNL d'Italia (dal 25 aprile al 9 maggio 2008), potranno nuovamente candidarsi a far parte del gruppo d'elite dei Volontari che collaboreranno nello staff organizzativo del torneo. Chiunque abbia un'età compresa fra i 18 e i 70 anni e sia disponibile a garantire per 2 settimane, a titolo completamente gratuito (non sono previsti rimborsi spese né per il vitto, né per l'alloggio) un impegno costante di almeno 5 ore (con la possibilità di scegliere indicativamente tra le fasce orarie 10-15, 15-20 oppure 20-24) può proporre la candidatura personale compilando il modulo allegato e spedendolo al numero di fax 06 36854214, oppure inviandolo all'indirizzo di posta elettronica [email protected]. La campagna di reclutamento si concluderà l’11 aprile 2009.

 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 9/2/2009, 18:10




http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Tennis/P...etta_0902.shtml
CITAZIONE
La storia tennistica di Flavia, molto semplice e lineare, deve essere da esempio per le generazioni future. Flavia è cresciuta tennisticamente in Italia, ma ha capito fin da teenager che per diventare una giocatrice vera avrebbe avuto bisogno di strutture serie, di professionalità, insomma di un progetto che ha trovato nella vicina Spagna. Lì Flavia è diventata grande, è esplosa nel 2004 e ha raggiunto un primo picco importante nel 2005

 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 9/3/2009, 10:07




http://www.sportmediaset.it/calcio/articol...colo21377.shtml
CITAZIONE
Per il futuro, sei preoccupato dell'età dei giocatori della Nazionale?
Beh un po' sì. Io vorrei creare un gruppo con importanti caratteristiche psicologiche (sempre detrminanti), ma guardo anche alla carta d'identità, ovvio. Per questo cerco di chiamare qualcuno più giovane di altri, c'è un futuro a cui pensare.

La nazionale in questione è quella di calcio e chi risponde è Lippi.

 
Top
beccio29
view post Posted on 9/3/2009, 10:36




Ma dai stai ancora a sentire quello che dice Lippi, ha concezioni vecchie del futuro e poi come si può credere a uno che non ha mai vinto niente
 
Top
Balk
view post Posted on 16/3/2009, 23:22




Interessantissima news che primeggia sulla homepage del Regio Sito:

EMPIRE: UN NUOVO MARCHIO 'FIRMA' GLI AZZURRI E LE AZZURRE
Lo storico brand di abbigliamento sportivo made in USA è distribuito in Italia dalla A.Moda di Scarperia e comparirà sulle calze da gioco delle squadre nazionali

Non è una notizia che vi riempie il cuore di orgoglio?
 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 17/3/2009, 09:36




Il precedente sponsor (appiè o qualcosa del genere) ci ha già mandato in culo?

Intanto il rugby italico nella partita contro il Galles ha fatto esordire Rubini e Quartaroli.
Due nuovi prodotti della scuola nazionale.

Roberto Quartaroli (29 marzo 1988, L'Aquila)
http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Quartaroli

Giulio Rubini (24 aprile 1987, Frascati)
http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Rubini_(rugbista)

Segno che oltre agli oriundi, producono pure dei giocatori.
 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 17/4/2009, 22:55




http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Sport_In...iaucraina.shtml
L'Hockey su ghiaccio, grande utilizzatore di oriundi in anni passati, sta invertendo la rotta:
CITAZIONE
Merito di una squadra che, giovedì sera capace di fermare anche la Polonia padrona di casa (4-2), ha ben saputo miscelare veterani ed emergenti, a trazione molto "italiana" (solo sei gli oriundi in rosa, decisivi per cuore e qualità)

 
Top
Prof Pepper
view post Posted on 20/4/2009, 15:41




...e nell'hockey, in passato, si arrivava ad avere una rosa di 1-2 non oriundi!
 
Top
Balk
view post Posted on 20/4/2009, 15:44




SSSSSSSSSSSHHHHHHHHHHHHH....

Vuoi che ti sentano?
 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 21/5/2009, 08:21




http://www.gazzetta.it/Calcio/Estero/20-05...426870986.shtml

Ci si lamenta sempre che nel baseball non ci sono i soldi.
Guardate cosa fa chi i soldi li ha davvero:

CITAZIONE
Nella finale di Champions con Manchester United i catalani si presenteranno con 7 giocatori cresciuti nel vivaio: solo l'Ajax di Seedorf e Kluivert, vincitore nel 1995, era arrivato a tanto. E anche Guardiola è un blaugrana doc

CITAZIONE
Rappresentate diverse generazioni del prolifico vivaio blaugrana: dai 31 anni di Puyol ai 20 di Busquets, uno che accompagnato da Guardiola lo scorso anno batteva i campi della quarta divisione spagnola alla ricerca della promozione in terza. In panchina ci sarà Bojan e molto probabilmente anche Pedro, uno che quest'anno si è alternato tra la prima e la seconda squadra.

Pensa te 'sti qua che senza il mega progetto franchigie ti muovono i giocatori tra una quadra e l'altra.
In teoria basta avere le giovanili...

Uno può pensare che sia un caso.
Invece:
CITAZIONE
Il Barcellona quest'anno ha giocato sempre con una media di 5.5 'canterani' nelle 36 gare di Liga e tra i 25 giocatori utilizzati da Guardiola ben 14 sono cresciuti a La Masia, la fabbrica di talenti del Barça

 
Top
Massimo casorati
view post Posted on 21/5/2009, 10:16




Che stupidi, spendere tutti quei soldi per i vivai. Se prendessero ad esempio l'Inter non dovrebbero aspettare anni per avere i giocatori, basta prenderli già fatti. Scherzi a parte, almeno Mourinho un paio di giovani del vivaio li ha lanciati, molto più di quanto si faccia nel pezzente baseball italiano.
 
Top
Fulvio Gandolfi
view post Posted on 21/5/2009, 11:27




Bella Giorgio ! Sì il Barca, soprattutto sezione calcio, ha per cultura calcio-politica quella di allevare i giovani e portarli dal vivaio alla prima squadra.
Lampante l'esempio di Messi, che nell'intervista rilasciata a Saviano, descrive chiaramente cosa ha fatto per lui il Barca quando si è trattato di scegliere.

http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/p...iano-messi.html

BARCELLONA - Lo incontro negli spogliatoi del Camp Nou di Barcellona, uno stadio enorme, il terzo più grande del mondo. Dagli spalti invece Messi è una macchiolina, incontrollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzo mingherlino ma sodo, timidissimo, parla quasi sussurrando una cantilena argentina, il viso dolce e pulito senza un filo di barba. Lionel Messi è il più piccolo campione di calcio vivente. La Pulga, la pulce, è il suo soprannome. Ha la statura e il corpo di un bambino. Fu infatti da bambino, intorno ai dieci anni, che Lionel Messi smise di crescere. Le gambe degli altri si allungavano, le mani pure, la voce cambiava. E Leo restava piccolo. Qualcosa non andava e le analisi lo confermarono: l'ormone della crescita era inibito. Messi era affetto da una rara forma di nanismo.

Con l'ormone della crescita, si bloccò tutto. E nascondere il problema era impossibile. Tra gli amici, nel campetto di calcio, tutti si accorgono che Lionel si è fermato: "Ero sempre il più piccolo di tutti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi". Dicono proprio così: "Lionel si è fermato". Come se fosse rimasto indietro, da qualche parte. A undici anni, un metro e quaranta scarsi, gli va larga la maglietta del Newell's Old Boys, la sua squadra a Rosario, in Argentina. Balla nei pantaloncini enormi, nelle scarpe, per quanto stretti i lacci, un po' ciabatta. È un giocatore fenomenale: però nel corpo di un bimbetto di otto anni, non di un adolescente. Proprio nell'età in cui, intravedendo un futuro, ci sarebbe da far crescere un talento, la crescita primaria, quella di braccia, busto e gambe, si arresta.


Per Messi è la fine della speranza che nutre in se stesso dal suo primissimo debutto su un campo da calcio, a cinque anni. Sente che con la crescita è finita anche ogni possibilità di diventare ciò che sogna. I medici però si accorgono che il suo deficit può essere transitorio, se contrastato in tempo. L'unico modo per cercare di intervenire è una terapia a base dell'ormone "gh": anni e anni di continuo bombardamento che gli permettano di recuperare i centimetri necessari per fronteggiare i colossi del calcio moderno.

si tratta di una cura molto costosa che la famiglia non può permettersi: siringhe da cinquecento euro l'una, da fare tutti i giorni. Giocare a pallone per poter crescere, crescere per poter giocare: questa diviene d'ora in avanti l'unica strada. Lionel, un modo di guarire che non riguardi la passione della sua vita, il calcio, non riesce nemmeno a immaginarlo.

Ma quelle dannate cure potrà permettersele solo se un club di un certo livello lo prende sotto le sue ali e gliele paga. E l'Argentina sta sprofondando nella devastante crisi economica, da cui fuggono prima gli investimenti, poi pure le persone, i cui risparmi si volatilizzano col crollo dei titoli di stato. Nipoti e pronipoti di immigrati cresciuti nel benessere cercano la salvezza emigrando nei paesi di origine dei loro avi. In quella situazione, nessuna società argentina, pur intuendo il talento del piccolo Messi, se la sente di accollarsi i costi di una simile scommessa.

Anche se dovesse crescere qualche centimetro in più - questo è il ragionamento - nel calcio moderno ormai senza un fisico possente non si è più nulla. La pulce resterà schiacciata da una difesa massiccia, la pulce non potrà segnare gol di testa, la pulce non reggerà agli sforzi anaerobici richiesti ai centravanti di oggi. Ma Lionel Messi continua a giocare lo stesso nella sua squadra. Sa di doverlo fare come se avesse dieci piedi, correre più veloce di un puledro, essere imbattibile palla a terra, se vuole sperare di diventare un calciatore vero, un professionista.

Durante una partita, lo intravede un osservatore. Nella vita dei calciatori gli osservatori sono tutto. Ogni partita che guardano, ogni punizione che considerano eseguita in modo perfetto, ogni ragazzino che decidono di seguire, ogni padre con cui vanno a parlare, significa tracciare un destino. Disegnarlo nelle linee generali, aprirgli una porta: ma nel caso di Messi, ciò che gli viene offerto, rappresenta molto di più. Non gli viene data solo l'opportunità di diventare un calciatore, ma la possibilità di guarire, di avere davanti una vita normale. Prima di vederlo, gli osservatori che sentono parlare di lui sono comunque molto scettici. "Se è troppo piccolo, non ha speranza, anche se è forte", pensano. E invece: "Ci vollero cinque minuti per capire che era un predestinato. In un attimo fu evidente quanto quel ragazzo fosse speciale". Questo lo afferma Carles Rexach, direttore sportivo del Barcellona, dopo aver visto Leo in campo. È così evidente che Messi ha nei piedi un talento unico, qualcosa che va oltre il calcio stesso: a guardarlo giocare è come se si sentisse una musica, come se in un mosaico scollato ogni tassello tornasse apposto.

Rexach vuole fermarlo subito: "Chiunque fosse passato di lì, l'avrebbe comprato a peso d'oro". E così fanno un primo contratto su un fazzoletto di carta, un tovagliolo da bar aperto. Firmano lui e il padre della pulce. Quel fazzoletto è ciò che cambierà la vita a Lionel. Il Barcellona ci crede in quell'eterno bimbo. Decide di investire nella cura del maledetto ormone che si è inceppato. Ma per curarsi, Lionel deve trasferirsi in Spagna con tutta la famiglia, che insieme a lui lascia Rosario senza documenti, senza lavoro, fidandosi di un contratto stilato su un tovagliolo, sperando che dentro a quel corpo infantile possa esserci davvero il futuro di tutti. Dal 2000, per tre anni, la società garantisce a Messi l'assistenza medica necessaria. Crede che un ragazzino disposto a giocare a calcio per salvarsi da una vita d'inferno abbia dentro il carburante raro che ti fa arrivare ovunque.

Le cure però spezzano in due. Hai sempre nausea, vomiti anche l'anima. I peli in faccia che non ti crescono. Poi i muscoli te li senti scoppiare dentro, le ossa crepare. Tutto ti si allunga, si dilata in pochi mesi, un tempo che avrebbe dovuto invece essere di anni. "Non potevo permettermi di sentire dolore", dice Messi, "non potevo permettermi di mostrarlo davanti al mio nuovo club. Perché a loro dovevo tutto". La differenza tra chi il proprio talento lo spende per realizzarsi e chi su di esso si gioca tutto è abissale. L'arte diventa la tua vita non nel senso che totalizza ogni cosa, ma che solo la tua arte può continuare a farti campare, a garantirti il futuro. Non esiste un piano b, qualsiasi alternativa su cui poter ripiegare.

Dopo tre anni finalmente il Barcellona convoca Lionel Messi e la famiglia sa che se non sarà in grado di giocare come ci si aspetta, le difficoltà a tirare avanti saranno insormontabili. In Argentina hanno perso tutto e in Spagna non hanno ancora niente. E Leo, a quel punto, ricadrebbe sulle loro spalle. Ma quando La Pulce gioca, sfuma ogni ansia. Allenandosi duramente con il sostegno della squadra, Messi riesce a crescere non solo in bravura, ma anche in altezza, anno dopo anno, centimetro dopo centimetro spremuto dai muscoli, levigato nelle ossa. Ogni centimetro acquisito una sofferenza. Nessuno sa davvero quanto misuri adesso. Qualcuno lo dà appena sopra il metro e cinquanta, qualcuno al di sotto, qualche sito parla di un Messi che continuando a crescere è arrivato al metro e sessanta. Le stime ufficiali mutano, concedendogli via via qualche centimetro in più, come se fosse un merito, un premio conquistato in campo.

Fatto è che quando le due squadre sono in riga prima del fischio iniziale, l'occhio inquadra tutte le teste dei giocatori più o meno alla stessa altezza, mentre per trovare quella di Messi deve scendere almeno al livello delle spalle dei compagni. Per uno sport dove conta sempre più la potenza e, per un attaccante, i quasi due metri di Ibrahimovic e il metro e ottantacinque di Beckham sono diventati la norma, Lionel continua a somigliare pericolosamente a una pulce. Come dice Manuel Estiarte, il più forte pallanuotista di tutti i tempi: "È vero, bisogna calcolare che le probabilità che Messi esca sconfitto da un impatto corpo a corpo sono elevate, come elevato è il rischio che venga totalmente travolto dai difensori. Ma solo a una condizione... prima devono riuscire a raggiungerlo".

E infatti nessuno riesce a stargli dietro. Il baricentro è basso, i difensori lo contrastano, ma lui non cade, né si sposta. Continua a tenere la corsa, rimbalza palla al piede, non si ferma, dribbla, scavalca, sguscia, fugge, finta. È imprendibile. A Barcellona malignano che le star della difesa del Real Madrid, Roberto Carlos e Fabio Cannavaro, non sono mai riusciti a vedere in faccia Lionel Messi perché non riescono a rincorrerlo. Leo è velocissimo, sfreccia via con i suoi piedi piccoli che sembrano mani per come riesce a tener palla, a controllarne ogni movimento. Per le sue finte, gli avversari inciampano nell'ingombro inutile dei loro piedi numero quarantacinque.

In una pubblicità dove era stato invitato a disegnare con un pennarello la sua storia, è divertente e malinconico vedere Messi ritrarre se stesso come un bimbetto minuscolo tra lunghissime foreste di gambe, perso lì tra palloni troppo grandi che volano lontano. Ma quando toccano terra, lui veloce li aggancia e piccolo com'è riesce a passare tra le gambe di tutti e andare in porta. Quando ci sono le rimesse laterali e gli avversari riprendono fiato, è proprio in quel momento che lui schizza e li sorpassa, così quando si immaginavano, i marcatori, di averlo dietro la schiena, se lo ritrovano invece già cinque metri avanti. Il grande giocatore non è quello che si fa fare fallo, ma quello cui non arrivi a tendere nessuno sgambetto.

Vedere Messi significa osservare qualcosa che va oltre il calcio e coincide con la bellezza stessa. Qualcosa di simile a uno slancio, quasi un brivido di consapevolezza, un'epifania che permette a chi è lì, a vederlo sgambettare e giocare con la palla, di non riuscire più a percepire alcuna separazione tra sé e lo spettacolo cui sta assistendo, di confondersi pienamente con ciò che vede, tanto da sentirsi tutt'uno con quel movimento diseguale ma armonico. In questo le giocate di Messi sono paragonabili alle suonate di Arturo Benedetti Michelangeli, ai visi di Raffaello, alla tromba di Chet Baker, alle formule matematiche della teoria dei giochi di John Nash, a tutto ciò che smette di essere suono, materia, colore, e diventa qualcosa che appartiene a ogni elemento, e alla vita stessa. Senza più separazione, distanza. È lì, e non si può vivere senza. E non si è mai vissuti senza, solo che quando si scoprono per la prima volta, quando per la prima volta le si osserva tanto da restarne ipnotizzati, la commozione è inevitabile e non si arriva ad altro che a intuire se stessi. A guardarsi nel proprio fondo.

Ascoltare i cronisti sportivi che commentano le sue cavalcate basterebbe per definire la sua epica di giocoliere. Durante un incontro Barcellona-Real Madrid, il cronista vedendolo assediato da tentativi di fallo smette di descrivere la scena e inizia solo un soddisfatto: "Non va giù, non va giù, non va giuuuuuù". Durante un'altra sfida fra le storiche arcirivali, l'ola estatica "Messi, Messi, Messi, Messi" riceve una "a" supplementare che gli rimarrà addosso: Messia. È questo l'altro soprannome che La Pulce si è guadagnata con la grazia beffarda delle sue avanzate, con lo stupore quasi mistico che suscita il suo gioco. "L'uomo si fece Dio e inviò il suo profeta", così dicono le scritte di un servizio televisivo dedicato a El Mesias, e a colui che come incarnazione divina del calcio lo precedette: Diego Armando Maradona.

Sembra impossibile ma Messi quando gioca ha in testa le giocate di Maradona, così come uno scacchista in un determinato momento della partita, spesso si ispira alla strategia di un maestro che si è trovato in una situazione analoga. Il capolavoro che Diego Armando aveva realizzato il 22 giugno 1986 in Messico, il gol votato il migliore del secolo, Lionel riesce a ripeterlo pressoché identico e quasi esattamente vent'anni dopo, il 18 aprile 2007, a Barcellona. Pure Leo parte da una sessantina di metri dalla porta, anche lui scarta in un'unica corsa due centrocampisti, poi accelera verso l'aria di rigore, dove uno degli avversari che aveva superato cerca di buttarlo giù, ma non ci riesce. Si accalcano intorno a Messi tre difensori, e invece di mirare alla porta, lui sguscia via sulla destra, scarta il portiere e un altro giocatore... E va in gol. Dopo aver segnato, c'è una scena incredibile coi giocatori del Barcellona pietrificati, con le mani sulla testa, si guardano intorno come a non credere che fosse possibile ancora assistere a un gol del genere. Tutti pensavano che un uomo solo fosse capace di tanto. Ma non è stato così.

La stampa si inventa subito il nomignolo "Messidona", ma c'è qualcosa nella somiglianza dei due campioni argentini che oltrepassa simili trovate e mette i brividi. In uno sport che la fase epica sembra essersela lasciata alle spalle, le prodezze di Messi somigliano al reiterarsi di un mito, e non di un mito qualsiasi, ma di quello che più fortemente è in contrasto con il nostro tempo: Davide contro Golia. Fisici minuscoli, quartieri poveri, incapacità nel vedersi diversi da come quando giocavano nei campetti, faccia sempre uguale, rabbia sempre uguale, come un'accidia che ti porti dentro. Teoricamente avevano tutto quanto bastava per sbagliare, tutto quanto bastava per perdere, tutto quanto bastava per non piacere a nessuno e per non giocare. Ma le cose sono andate diversamente.

Messi, quando Maradona segnava quel gol in Messico, non era neanche nato. Nascerà nel 1987. E la ragione per cui io l'ho seguito a Barcellona, al punto di volerlo incontrare, ha la sua origine proprio in questo: l'essere cresciuto a Napoli nel mito di Diego Armando Maradona. Non dimenticherò mai la partita dei mondiali del 1990, un destino terribile portò l'Italia di Azeglio Vicini e Totò Schillaci a giocare la semifinale contro l'Argentina di Maradona proprio al San Paolo. Quando Schillaci segna il primo gol, lo stadio gioisce. Ma si sente che nelle curve qualcosa non va. Dopo il gol di Caniggia il tifo non napoletano - non autoctono - inizia a prendersela con Maradona, e lì accade qualcosa che non succederà mai più nella storia del calcio e mai era successo sino ad allora: la tifoseria si schiera contro la propria nazionale di calcio. I tifosi della curva napoletana iniziano a urlare: "Diego! Diego!". D'altronde erano abituati a farlo, come biasimarli e come identificarsi in altri? Anche se dovrebbe essere cara la propria squadra nazionale, in quel momento è Maradona che rappresenta la tifoseria del San Paolo più di una nazionale di giocatori provenienti da altre città d'Italia, da Roma, Milano, Torino.

Maradona era riuscito a sovvertire la grammatica delle tifoserie. E a Roma gliela fecero pagare durante la finale Argentina-Germania, dove il pubblico per vendicarsi dell'eliminazione dell'Italia in semifinale e delle defezioni create all'interno della tifoseria, inizia a fischiare l'inno nazionale. Maradona aspetta che la telecamera, nella carrellata sui giocatori, arrivi sulle sue labbra, per lanciare un "hijos de puta" ai tifosi che non rispettano neanche il momento dell'inno. Una finale terribile, dove a Napoli si tifava tutti, ovviamente, per l'Argentina. Ma poi il momento del rigore assolutamente dubbio distrugge ogni speranza. La Germania chiaramente in difficoltà deve però vincere e vendicare l'Italia battuta. Un rigore dubbio per un fallo su Rudi Voeller, lo realizza Andreas Brehme. E il commento del cronista argentino fu: "Solo così fratello... solo così potevate vincere contro Diego".

Ricordo benissimo quei giorni. Avevo undici anni, e difficilmente tornerò mai a vedere quel tipo di calcio. Ma qualcosa sembra tornare, di quel tempo. Il gol del Messico contro l'Inghilterra, il gol rifatto dalla Pulce vent'anni dopo, segna uno dei momenti indimenticabili della mia infanzia. Mi chiedo che meraviglia e che vertigine sarebbe veder giocare Messi al San Paolo, lui, di cui lo stesso Maradona disse: "Vedere giocare Messi è meglio che fare sesso". E Diego, di entrambe le cose, se ne intende. "Mi piace Napoli, voglio andarci presto", dice Lionel, "Starci un po' dev'essere bellissimo. Per un argentino è come essere a casa".

Il momento più incredibile del mio incontro con Messi è quando gli dico che quando gioca somiglia a Maradona - "somiglia": perché non so come esprimere una cosa ripetuta mille volte, anche se devo dirgliela lo stesso - e lui mi risponde: "Verdad?", "Davvero?", con un sorriso ancor più timido e contento. Del resto, Lionel Messi ha accettato di incontrarmi non perché sia uno scrittore o per chissà cos'altro, ma perché gli hanno detto che vengo da Napoli. Per lui è come per un musulmano nascere alla Mecca. Napoli per Messi, e per molti tifosi del Barcellona, è un luogo sacro del calcio. È il luogo della consacrazione del talento, la città dove il dio del pallone ha giocato gli anni più belli, dove dal nulla è partito verso la sconfitta delle grandi squadre, verso la conquista del mondo.

Lionel appare il contrario di come ti aspetti un giocatore: non è sicuro di sé, non usa le solite frasi che gli consigliano di dire, si fa rosso e fissa i piedi, o si mette a rosicchiare le unghie dell'indice e del pollice avvicinandole alle labbra quando non sa che dire e sta pensando. Ma la storia della Pulce è ancora più straordinaria. La storia di Lionel Messi è come la leggenda del calabrone. Si dice che il calabrone non potrebbe volare perché il peso del suo corpo è sproporzionato alla portanza delle sue ali. Ma il calabrone non lo sa e vola. Messi con quel suo corpicino, con quei suoi piedi piccoli, quelle gambette, il piccolo busto, tutti i suoi problemi di crescita, non potrebbe giocare nel calcio moderno tutto muscoli, massa e potenza. Solo che Messi non lo sa. Ed è per questo che è il più grande di tutti.
© Roberto Saviano 2009. Published by Arrangement with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria

(15 febbraio 2009)


Se non si è capito io mercoledì prossimo tiferò Barca e Messi.

PS A chi dovesse capitare di andare a Barcellona consiglio vivamente l'esperienza del Camp Nou. Lo stadio perfetto.
 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 30/6/2009, 13:33




http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Rugby/30...645247639.shtml
CITAZIONE
Italia-All Blacks a San Siro
Già venduti 20.000 biglietti

CITAZIONE
La Gazzetta dello Sport è il partner di questa manifestazione, che sta già riscuotendo uno straordinario successo.
Quanto straordinario? Basti pensare che in una settimana sono già stati polverizzati 20mila biglietti.

 
Top
Giorgio Pavarani
view post Posted on 23/11/2009, 09:21




http://www.federtennis.it/DettaglioNews.asp?IDNews=44683

Nel tennis, c'è anche qualcuno che non pensa solo ai tornei giovanili.

CITAZIONE
utto inizia quando Camila, a 5 anni, già fisicamente dotatissima, sceglie di abbandonare la ginnastica artistica per il tennis. Da allora, i Giorgi hanno girato le scuole di mezzo mondo, da Bollettieri alle varie accademie spagnole, fino ad approdare a Parigi, alla corte di Mouratoglu. Seguendo un itinerario di crescita tutto personale. Fino a 14 anni, infatti, Camila non ha giocato tornei: solo lavoro, tanto lavoro, sul fisico (la parte atletica è curata in prima persona dal padre) e sulla tecnica, alla ricerca della perfezione assoluta dei gesti. “Non mi interessava che vincesse partite da bambina, alzando pallonetti. In quel modo, non si arriva da nessuna parte”, afferma deciso il padre.

Un po' come dire che non gli interessa vincere le partite givoanili bunteggiando a manetta.

 
Top
164 replies since 24/2/2007, 18:05   5739 views
  Share